Questo libro si rivolge sia a chi opera nel campo psicoterapeutico specificatamente sul versante psicooncologico, sia, e soprattutto, a chi cerca di avvicinarsi a quel mondo affascinante e straordinario della relazione mente corpo. Esso ha il fine preciso di portare un contributo clinico-esperienziale ad un campo complesso e vastissimo (poiché abbraccia più discipline), quale è appunto la relazione mente corpo, più specificatamente sul versante della psicooncologia, ponendosi come invito ad introdursi in una ricerca che purtroppo non può usufruire ancora dei mezzi di cui invece altre discipline “più” scientifiche godono, ancorché nel nostro paese il rapporto fra prodotto interno lordo e investimenti per la ricerca sia agli scarsi livelli che sappiamo. Ho accuratamente evitato affermazioni, consapevole appunto della scarsa solidità che caratterizza campi di ricerca basati solo su dati osservativi speculativi , che tali non possono che condurre a interpretazioni ancora del tutto arbitrarie. Tuttavia c’è una buona casistica per azzardare ipotesi attendibili. Ciò significa che la malattia, sia essa neoplastica o di altra natura, viene valorizzata ad un livello diverso da quello tradizionale, in quanto non viene soltanto confermata la propria natura organica, ma anche letta in chiave più estensiva ovvero storicizzata. Coloro che ricorrono ad un trattamento psicoterapeutico ne traggono indubbi vantaggi, sia sul versante psichico che somatico, poiché la valorizzazione di se stessi viene contemporaneamente vissuta sul piano pulsionale( il riconoscimento della legittimità delle proprie pulsioni), che sul piano narcisistico (una nuova immagine di se stessi) . Se ciò è utile nelle fasi di malattia, ancor di più lo può essere sul piano della percezione, dove una psicoterapia può rendere il soggetto immediatamente capace di godere di sé, restituendosi a quel se stesso che c’è in ognuno di noi, ma, come cercherò di spiegare, spesso troppo spesso, rimane tragicamente sepolto sotto il peso degli inutili quanto dannosi falsi Sé che poco hanno fatto o nulla per impedire il soverchiamento. Prevenire significa concorrere ad evitare che vengano oltrepassate le possibilità di ognuno di noi . Concludendo, il fatto, ovvero il proporsi qualcosa e farlo, equivale ad un valore, pertanto ogni cosa farete per voi stessi avrà un suo proprio valore. Non attardatevi a cercare quale potrà essere la cosa più ben fatta perché, qualunque sia la cosa che farete, sarà equivalente a tutte le altre che avrete tralasciato di fare, a patto che il fare sia supportato da ragioni in termini di successo predittivo, capacità esplicativa, sostanzialità di concetti, in una parola: dialogo. Dialogate con voi stessi, con gli altri, abbandonate l’idea ingenua quanto infausta, di imporre il vostro modo di pensare oppure di essere pensati. Non cercate di provare delle cose a tutti i costi, a meno che non vi siate accuratamente accertati di eliminare tutte quelle ipotesi superflue (pregiudizi) che rendono amieloide il vostro cervello, e di conseguenza il vostro agire. Né ponetevi nella veste di colui che è in continuo disaccordo con il prossimo poiché non esistono procedure ad hoc che ne permettano l’evidenziarsi come ragione. Certo, il contrario esiste, deve esistere perché fa bene, evoluzionisticamente parlando, ma l’interesse precipuo nel contrasto stesso è, lo ripeto, il dialogo che ha il potere di cambiare il mondo che salvaguarderà l’intelligenza di coloro che si accingono a cambiarlo. Negli oltre dieci anni in cui mi sto occupando della correlazione mente corpo ho osservato che, in tutte le persone che mi hanno introdotto nel mondo della sofferenza neoplastica come pazienti in psicoterapia, erano presenti come costante dei sentimenti che ci accompagnano dal giorno della nostra esistenza cognitiva: il senso di colpa e il senso di vergogna.
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